Recapitolescion!

Sono una scansafatiche, amici miei. Una scansafatiche. Un mese senza scrivere! Un mese! O forse più, non me lo ricordo neanche più. Credo che nel bel mezzo di questo mese siano successe un po’ di cose in giro per il mondo, ma visto che non siamo qui per parlare di politica, ma per cianciare e sproloquiare, ecco che vi racconto cosa ho fatto.

Innanzitutto, ho cambiato città. Da CittàBuca mi ritrovo persa a Londra, tra luci di natale, muffin e seri problemi di caccole grigie. Ho iniziato a prendere la metro tutti i giorni, che per una che viene da un paesino sperduto in cui non passa nemmeno il bus che va a scuola è un vero sbalzo nel futuro. Levate, Marty McFly. Ho iniziato ad indossare le cannottiere di cotone sotto ogni maglione. Ho iniziato a sentire la nostalgia di casa, mentre mia mamma su Skype mi fa vedere l’albero di natale dicendomi che senza me non è la stessa cosa preparare un albero. Ho iniziato a meravigliarmi dei palazzi immensi e delle casine di mattoni rossi che vivono insieme in armonia, sorprendentemente. Ho iniziato a tornare a casa puzzando di birra quasi ogni sera, ma questo perché lavoro in un pub e non solo perché mi piace bere.

Ecco, questa meravigliosa moltitudine di alcol lo maneggio io, quasi tutte le sere. Accorrete genti ubriache!
Ecco, questa meravigliosa moltitudine di alcol lo maneggio io, quasi tutte le sere. Accorrete genti ubriache!

Le prime due settimane sono state difficili e sono state costellate da una serie di sfighe. Per esempio, una sera, quando ero ancora in ostello, un ragazzo americano con cui stavo parlando dell’Uganda (perché in ostello i discorsi sono incredibilmente vari) ha dato una manata alla sua pinta di birra e me l’ha versata sul computer. E giù con le parolacce, in più e più lingue. La vicenda si è conclusa bene, fortunatamente, ho perso una settimana in giro per le zone 1 e 2 per cercare un Aggiusta-Computer, ma alla fine ho trovato un caritatevole uomo che mi ha aperto il computer e me lo ha asciugato. Poi mi ha chiesto 125 sterline per pulirmi anche la ventola, ma l’ho graziosamente mandato a farsi benedire e me ne sono tornata a casa col mio pc.

I temerari scoiattoli albionici si avvicinano ai miei piedi.
I temerari scoiattoli albionici si avvicinano ai miei piedi.

 

Casa. Parliamo poi di Casa. Dopo varie vicissitudini che non sto a raccontarvi, perché includono muffe di varia natura, incrostazioni, vetri rotti e water neri, ho trovato dimora in un incantevole palazzo circondato da parchi e scoiattoli. Vivo con una famiglia di 3 persone, la mia Roommate Susanna e un gatto tutto nero e tondo. Sarebbe tutto idilliaco se non fosse che un po’ ci odiamo a vicenda. Io e il gatto, intendo. E’ vero, gli ho pestato la coda un paio di volte ma lui, per vendicarsi, ha ridotto il mio caricabatterie in mille piccoli pezzi con le sue piccole fauci.

Questo rotondeggiante animale è tanto carino quanto *inserire parolaccia a caso*. E vive a casa mia.
Questo rotondeggiante animale è tanto carino quanto *inserire parolaccia a caso*. E vive a casa mia.

Hackney il Malefico a parte, le mie giornate si altalenano tra cookies di Sainsbury’s, meraviglie di Londra, clienti fanfaroni, clienti ubriachi,  colleghi spagnoli (4 colleghi su 7 sono spagnoli. Un erasmus in Spagna, praticamente) e tanto, tanto Skype.

Ho il suono delle chiamate di Skype nelle orecchie.

Hasta luego, darlings!

 

 

I temibili zanzagatti

CLIENTE:Buonasera, avevo prenotato per 7 a nome di PINCOPANCO [Nome fittizio N.d.R.]
IO: Buonasera signor Pincopanco, le mostro il tavolo … Eccolo, si accomodi.

Cliente si guarda attorno con circospezione per alcuni minuti.

CLIENTE: Ma ci sono gatti?
IO: No, signore, in sala non ci sono gatti.
CLENTE: No, sai mia moglie è allergica… senti, facciamo che mi accendi una citronella per tenere lontani i gatti?
IO:
CLIENTE: Per favore.

 

 

Certe volte la gente è proprio bella.

Lemuri e camerieri di 6° grado

Visto che la partenza per Londra è prevista per novembre e per poter sopravvivere lì devo avere qualche soldo, appena mi sono laureata ho iniziato a cercare un lavoretto estivo e finalmente l’ho trovato.

Ieri ho finalmente firmato il mio primo contratto lavorativo, alla veneranda età di 22 anni e disparati mesi.
Ieri sono stata confermata come cameriera di 6° livello, il che non ho idea di cosa voglia dire, penso che voglia dire solo che mi pagheranno il minimo sindacale perché sono alle prime armi e perché ancora mi esercito nel retro a portare 4 piatti in una mano. Sono piuttosto bravina quando si tratta di portare piatti vuoti, ma quando devo portare via piatti ricolmi di ogni tipo di cibo e salsine e sughetti rinuncio in preda al panico, immaginando scene in cui verso rovinosamente posaterie e cibarie sulla camicia bianca del malcapitato/a di turno.

Che poi, se c’è un cameriere di sesto livello, c’è anche un cameriere di primo livello e me lo immagino un po’ come una creatura leggendaria, tipo “cameriere bianco occhi blu, scelgo te!” e lui esce fuori dal cuore delle carte librandosi nell’aria leggiadro e dispensando i piatti giusti ai tavoli giusti con la maestria di un vero professionista, probabilmente lasciando dietro di se una scia di glitter e ammirazione.

Mi sono data ai collage.
Mi sono data ai collage.

Insomma, in questi primi giorni di prove generali ho conquistato il cuore di ben due clienti abituali, uno dei quali, a quanto pare, prende un po’ a cuore tutte le cameriere giovincelle. L’ho soprannominato il Benefattore Viscidone, perché sarà pur vero che mi ha lasciato due euro di mancia a fine serata, ma è comunque un dongiovanni dallo sguardo languido ed il naso rosso di vino.

In più, la terza sera stavo portando una burrata al tavolo 51 e mi sono trovata davanti la mia professoressa di latino del Liceo, quella che mi segnava gli errori delle versioni con due colori diversi per indicarmi quelli gravi e quelli semplici, per essere sicura di non perdere nessuna occasione di abbassare il voto ancora di più. Incontrare un professore è un po’ come incontrare un ex per caso, solo con l’ansia che parta un’interrogazione da un momento all’altro. Ogni volta che mi chiamava dal tavolo avevo paura che mi chiedesse la terza declinazione. La terza declinazione è il male, la terza declinazione è l’antistudente, la terza declinazione è bandita dal mulino che vorrei.

Comunque i miei 5 colleghi sono simpatici, rubano qualche patatina fritta dalla cucina e mi insegnano a portare 5 bicchieri pieni contemporaneamente, che è una vera impresa. Per ora l’unico problema è che uno dei ragazzi parla sottovoce e si mangia la parte finale delle parole e io non capisco nulla di quello che dice. Ogni tanto lo fisso con la stessa espressione ebete dei lemuri .

Che hai detto? Cosa vuol dire porta klsvkjbkjbcd al tavolo jhageh?
Che hai detto? Cosa vuol dire porta klsvkjbkjbcd al tavolo jhageh?

Penso che stasera sarò più ebete del solito. Oggi è sabato e c’è la partita Italia-Qualcosa e ci sarà il delirio.
Si salvi chi può.

Volevo fare il Giacobbo

C’è stato un consistente periodo della mia adolescenza in cui invece di struggermi per amore o cercare nuovi metodi per estirpare i brufoli dalla faccia come tutte le mie compagne di classe, io ero afflitta dalla sindrome di Giacobbo. Ero completamente ossessionata delle cose misteriose, tipo le teorie sulle piramidi, le grandi pietre di stonehenge, le città di Chichen Itza e Machu Picchu e soprattutto le linee di Nazca. Avevo delle cartelle sul pc, suddivise in diverse sottocartelle che si diramavano a loro volta in svariate altre sottocartelle in cui mettevo tutto lo scibile che wikipedia, encarta e numerosi sospetti siti internet da invasati con scritte verdi su sfondo nero potevano fornirmi. Mi informavo senza sosta, una mattina mi ritrovai con gli occhi rossi reduce da una nottata alle prese con il mistero del segnale Wow! che non è un cartello molto entusiasta che parla come Cassie Ainsworth, ma un segnale radio proveniente dallo spazio che mi ha fatto perdere una notte di sonno.

Insomma, io aspiravo a diventare la prossima Roberta Giacobbo, avrei voluto condurre Voyager, incontrare archeologi, intrufolarmi nelle tombe egiziane– che come La mummia insegna sono infide e piene di pericoli-, parlare di fulmini globulari e cerchi nel grano con la sua stessa verve, disinvoltura e convinzione.
Tra l’altro io sono certa di aver visto un fulmine globulare all’età di 5 anni, ma nessuno mi crede.
Solo Bobby lo farebbe, ma anche lui ha perso credibilità quando ha iniziato a parlare dei chupacabras.

Comunque mi ero scordata di queste mie dubbie passioni fino a quando oggi, su pinterest, non mi sono imbattuta in un’immagine delle linee di Nazca. Allora ho ricominciato ad indagare ed è venuto fuori che devo fare un viaggio nel Sud America, necessariamente. E’ un po’ come quando ho visto I diari della motocicletta, che mi è salita la voglia di prendere una moto, darle un nome e girovagare con una moleskine.

3 ottimi motivi per cui devo andare in Sud America sono

1)
In Bolivia ci sono gli alberi ciccioni

Toborochi-Tree

2)
Sempre in Bolivia c’è una città chiamata Tiahuanaco dove il signorotto locale è un tipo di pietra che scruta impassibile i turisti attraverso una porta

PicMonkey Collage 1

e c’è quest’altro che ha la stessa posa di J. Lawrence

PicMonkey Collage 2

 

3)
Ci sono i Lama che, si sa, sono tutti imperatori caduti in disgrazia

happy-lama-25701-400x250

Irlanda: puffin piccolissimi, pinte, paracetamolo e gente molto strana ( VOL I)

Circa 4 mesi fa ( aggiornamenti proprio in tempo reale) io e Mi Amor tornavamo dall’Irlanda in preda alla sconsolatezza più totale. Ci lanciavamo in commossi addii e calorose celebrazioni della terra in cui eravamo appena stati.

Addio lande verdi e desolate! Addio pinte di birra nei pub ogni sera!

Comunque, senza fare confusione ecco che partirò dall’inizio, che non si è visto mai un racconto di viaggio raccontato a partire dalla fine. Il 13 Novembre siamo partiti con il nostro bagaglino a mano ricolmo di maglioni e sciarpone da Ciampino e siamo arrivati all’enorme aeroporto di Dublino. Il progetto era quello di passare 3 giorni a Galway, sulla costa ovest e 3 a Dublino. Quindi ci siamo diretti subitamente e senza indugi verso il bus per Galway, perchè volevamo vedere le Grandi Scogliere e io volevo vedere anche i puffin. Se non sapete cosa sono i puffin male, molto male. Sono degli uccelli tanto buffi, sono dei pinguini in miniatura. Sono i pennuti più fotogenici del globo terracqueo.

Image

Insomma, siamo arrivati a Galway. che è una cittadina tanto tanto carina , piccola, compatta ed assolutamente irlandese, al contrario di Dublino. Su Quays street si concentra tutta la vita dei pubbettari e abbiamo avuto la fortuna di prenotare l’ostello proprio su quella via. Uscivamo e PUM pub. Quays street è un fantastico turbinio di Irlandesi che suonano e mega pinte di birra.

E poi Galway è tutta colorata.

Galway_Ireland a

McDonaghs a

quayst2 a

quaysp a

Un posticino davvero irlandese nel cuore. E poi c’erano gli uomini barbuti che suonavano dentro i pub e abbiamo capito che “Whiskey in the jar” era la canzone più quotata.

Okay, there’s Whiskey in the jar, ma ora portatemi una birrozza, hey oh!

Nei giorni successivi ad attenderci c’erano le bellissime scogliere di Moher, sulle quali tirava un gran vento e Mi Amor si è beccato una febbra altissima, costringendomi a girare tutta Galway alla ricerca di paracetamolo. Comunque per arrivare alle cliffs abbiamo prenotato un tour con la Galway company tour, dal momento che non potevamo affittare una macchina. Aidan, l’autista dai capelli arancioni e un accento irlandesissimo quasi incomprensibile, ci ha fatto da guida e ci ha portato in diversi paesini e castelli.

Ma che bel castello Marcondirondirondello -Dunguaire castle

clare-2006-2

La desolazione di Smaug non è niente in confronto a quella del Burren a novembre
Abbazia di Corcomroe

Ogni volta che scendevamo dal pullman c’erano due tizi squinci che ci fregavano il posto davanti sull’autobus. Dopo le prime 3 volte che siamo stati derubati del privilegio del nostro posto, una signora inglesina di buone maniere, tutta seria e composta, mi ha chiamato vicino a lei e mi ha sussurrato: “You should have kicked them in the ass”. Pare che la vicenda abbia scatenato una certa empatia anche negli altri passeggeri, che infatti ad un certo punto sono intervenuti intimando ai due di lasciarci il posto e noi abbiamo riguadagnato i nostri sedili.

Comunque siamo giunti alle scogliere e wow.

IMG_0870

IMG_0945
C’era giusto un filo di vento

To be continued…